lunedì 12 novembre 2012

Come ha influito il monofagismo maidico nella società italiana?


La pellagra: nascita, diffusione e declino

 di Giuseppe PALADINO


Il mais, dopo il XVII secolo, aveva liberato gran parte della popolazione dalla dipendenza alimentare cerealicola tradizionale, ma al contempo aveva dato il via ad                        un’ulteriore breccia nelle difese sanitarie dell'organismo umano. [1]
from: http://www.agraria.org/
coltivazionierbacee/mais.htm
Particolare di una pianta di mais
          Anche nelle regioni della Francia,  Spagna, Romania, fra i negri e le popolazioni meno abbienti del sud degli USA, il mais è stato oggetto di utilizzo alimentare per la popolazione, ma le ripercussioni sotto forma di pellagra nei suoi diversi stadi della patologia non acquistarono quella intensità che caratterizzò l'Italia settentrionale per l'intero XIX secolo e oltre. La pellagra non era solo legata all’alimentazione a base di mais, ma dipendeva anche e soprattutto dai modi con cui il cereale era preparato e mangiato. [2]
 I  Popoli delle civiltà Azteca e Maya lasciavano in ammollo il mais per renderlo commestibile con l’acqua di calce una soluzione alcalina(tecnica detta di nixtamalizzazione). Questo processo permetteva di rendere “biodisponibili” per la digestione la vitamina niacina e un importante aminoacido, il triptofano, che, a sua volta, si converte in niacina.
L’antica pratica di mettere l’impasto di mais a bagno per una notte in acqua di calce prima di fare le tortillas non fu mai trasmessa a quei paesi del Vecchio Mondo nei quali fu diffuso il mais, o alle comunità il cui alimento principale era costituito dal mais. Questo, quasi inevitabilmente, portò alla diffusione della malattia da carenza di niacina: la pellagra.
Italo Giglioli, fra gli altri, fin dai primissimi anni del  ’900  pur non possedendo nessuna nozione vitaminica, avea individuato perfettamente il nocciolo della situazione, insistendo sui danni provocati dall'alimentazione "quasi esclusivamente maidica di gran parte dei nostri contadini", ma soprattutto dei contadini di quelle parti d'Italia dove la farina di  granoturco si consuma sottoforma di mal preparata polenta mangiata insipida e priva di condimenti impedendo il rialzo del valore nutritivo. L'elemento scatenante, in effetti, consisteva non tanto nella polenta in se e per se, quanto nel suo bassissimo valore nutritivo da un punto di vista vitaminico, ma questo lo si appurò molti anni dopo, quando si scoprì che il processo di bollitura, necessario alla farina di granoturco per essere trasformata in polenta, liberava e disperdeva anche quella minima quantità di vitamina PP (del gruppo B) in essa contenuta. Non essendo tale perdita compensata in altra maniera, si presentavano a lungo andare  manifestazioni diarroiche e cutanee e in fine più o meno accentuate forme di demenza con tendenze suicide. [3]
from: http://www.luccalive.com/2012/07/31/
sagra-della-polernta-a-palle/
Polenta appena cotta
          La pellagra viene  segnalata per la prima volta nell’Asturie in Spagna intorno al 1730 e poco più tardi si trova anche in Francia meridionale  e  nell’ Italia padana. Questa malattia seguì pari passo la diffusione del mais, rappresentò una piaga endemica di molte campagne dell’Europa centro-meridionale. [4]
Clinicamente, la malattia è identificata dalle tre D - dermatite, diarrea e demenza - e, se non viene curata, la pellagra può portare alla morte nel giro di quattro o cinque anni.
All' ultimo stadio della malattia, a volte c’era il ricovero in manicomio, di individui in prevalenza maschile, braccianti, con psicosi differenti ma in molti casi più che di cure mediche specifiche avevano semplicemente bisogno di mangiare.
Il panorama sanitario, già precario per la carenza di vitamine e proteine, si arricchiva di dementi, che, a causa della polenta scondita, alla fine dell'inverno aumentavano le fila della popolazione dei manicomi per disturbi nervosi e psichici riconducibili in massima parte alla carenza i vitamina B12 fornita normalmente da carne, pesce, pollame e latticini.
Inoltre, alcuni, manifestavano allucinazioni a sfondo alimentare  cha la diagnosi catalogava come "manie di grandezza", tutti avevano in comune una precoce vecchiaia e segni indelebili di pellagra sulla pelle[5].  
Era stata messa in relazione la stagionalità della malattia, essa si manifestava a pieno e con virilità nei mesi estivi, per contrarsi in quelli invernali.
“Essere un pellagroso comportava diversi disagi e significava inoltre essere etichettati con un marchio infamante. Tuttavia, adattarsi ad essere un pellagroso, poteva essere la strada giusta talora, si voleva essere ammessi  alle locande sanitarie e mangiare in maniera  gratuita e si aveva anche la possibilità d ricevere a titolo gratuito in base alla legge  427 del 21/07/1920 alcuni kg di sale” [6].
from: http://www.blatner.com/adam/consctransf/
historyofmedicine/5-deficiencydiseases/5-deficdis.html
Soggetto affetto da pellagra
Né la pesca delle rane (nelle zone del Po’), né i furti potevano essere considerati rimedi affidabili, anche se in determinate circostanze hanno consentito di far sopravvivere intere famiglie di contadini che dopo il 1869 si trovavano stretti fra la tassa del macinato e una drastica e progressiva riduzione delle giornate di lavoro.
Ai malati di pellagra ricoverati nelle apposite strutture si tendeva a dare un pasto abbondante più che variato. Come una cattiva alimetazione poteva far precipitare nella malattia, così una terapia alimentare (che spesso era anche l'unica strada percorribile) poteva restituire la salute. Di questo i primi ad esserne convinti furono i medici[7]
Per tentare di frenare  la diffusione che nel 1776 era considerata come nuova malattia, il proclama proibiva a chiunque di raccogliere da fondi  allagato granoturco inacidito e di farne uso come cibo destinato all'alimentazione umana.
I primi pellagrosi  furono notati dall'occhio attento di Terzaghi nel lontano 1750 vicino Sesto Calende. Tra il 1771 e il 1775, Frappoli e Zanetti, con delle ricerche erano stati i primi ad elaborare un quadro clinico e sintomatologico.
Fin dai primi tentativi di lettura scientifica la pellagra apparve un fenomeno morboso strettamente collegato alle trasformazioni economiche che dalla II metà del XVIII secolo avevano cominciato a percorrere le campagne padane e a lambire il mondo mezzadrile dell'Italia centrale, il cui effetto vistoso consistette in un salto di qualità nella dieta contadine, progressivamente depauperata d’ogni rapporto vitaminico, fino ad arrivare al monofagismo maidico[8]
La Pellagra si presenta come malattia sociale, che colpiva esclusivamente le classi povere perchè non si potevano permettere di aggiungere altri alimenti per innalzare il valore nutritivo del pasto come potevano logicamente fare queli che godevano di una certa agiatezza.
Nella fine del 1800 furono varate un gruppo di norme volte ad impedire quella che era ritenuta la causa specifica della pellagra. Inoltre ci furono delle disposizioni volte ad arginare
Il punto più alto d’ammalati di pellagra fu toccato intorno al 1881, da lì in poi ebbe un lento e progressivo declino. E il Messedaglia ci afferma che mentre gli scienziati discutevano delle cause la pellagra guarì spontaneamente.
Ci sono voluti decenni per capire che le cause della pellagra non era la polenta, in quanto cibo sanissimo, ma si diffuse perché mancavano altri cibi e condimenti.
Così fu combattuta e vinta, intanto la polenta era stata ingiustamente messa da parte, perché considerato erroneamente un pericolo. La polenta è nel cuore  degli italiani, infatti è ricordata ed esaltata innumerevoli volte in feste, tradizioni e folcloristiche[9]




[1] G. POROSINI, Agricoltura alimentare e condizioni sanitarie. Prime ricerche sulla pellagra in Italia dal 1880 al 1940, Genova,  1974 pag. 21
[2]   ALBERTO CAPATTI,  ALBERTO DE BERNARDI & ANGELO VARNI (a cura di), “13: L' alimentazionein  Storiad’Italia. Annali 13, Torino, Einaudi, 1998, pag. 25-26
[3] Ibid
[4] Cit.  MASSIMO MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, pag. 170
[5] Cit. ALBERTO CAPATTI,  ALBERTO DE BERNARDI E ANGELO VARNI (a cura di)
[6]  P.SORCINELLI, La pellagra e la morte. Medici condotti, malattie e società alla fine del XIX secolo, Ancona,  pag. 23.
[7]Cit. PAOLO SORCINELLI, Gli italiani e il cibo. Dalla polenta ai cracker.
[8]  FRANCO DELLA PERUTA (a cura di), “7:Malattia e medicina” in  - Storiad’Italia. Annali 7, Torino, G. Einaudi,  1984.
 [9]  Cit. LUIGI CARNACINA-VINCENZO BUONASSISI.


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