Dal suo arrivo
nel Vecchio Mondo e a seguito dei numerosi scambi che si verificarono
tra Paesi lontani, il peperoncino si è evoluto in numerose specie; ha
assunto nuove forme e nuove intensità di piccantezza a seconda della
geografia, delle caratteristiche genetiche, dal luogo in cui viene
coltivato e adoperato. Il peperoncino piccante era usato come alimento
nel continente americano fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza
di reperti archeologici viene segnalato già nel 5.500 a.C. in Messico
ed Ecuador, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la
sola spezia usata dagli indiani del Cile e del Messico. Però si ritiene
che il suo consumo risalga ad almeno il 7500 a.C., e che si tratti di
una delle primissime specie coltivate in quel centro di origine
dell’agricoltura. Quando si pensa al peperoncino, le prime immagini che
ci scorrono nella mente ci rimandano
agli altopiani delle Ande ( zona originale di provenienza) o alla
Calabria. In realtà la sua rusticità permette una crescita ottimale in
tutta la penisola italiana. Colombo intuisce e sostiene le qualità
nutritive e medicamentose del peperoncino, che trova in abbondanza e
gli sembra migliore del pepe. E infatti già dal secondo viaggio,
Colombo porta in Spagna il peperoncino e lo diffonde avviandone la
coltivazione della pianta nel vecchio mondo. Si immaginava che questa
potesse essere una spezia da importare con interessante profitto, ma ci
si accorse ben presto che era più semplice e conveniente coltivarla
direttamente in Europa.
La sua rusticità ne ha permesso una diffusione planetaria
Coltivare il peperoncino è infatti abbastanza semplice, questa è una delle ragioni che ne hanno permesso una diffusione planetaria. Ciò che conta principalmente è di poter usufruire di luce e calore per un arco di tempo sufficientemente ampio. Alcuni aspetti della coltivazione del peperoncino richiedono una certa attenzione: una concimazione non eccessiva, un’irrigazione molto attenta, un adeguato sostegno delle piante – aspetto colturale abbastanza trascurato nei piccoli orti – e una raccolta accurata data la delicatezza dei frutti. In compenso questo ortaggio è capace di dare il proprio prodotto per un lungo periodo e i peperoncini, conservati con differenti modalità, possono arricchire la mensa per quasi tutto l’anno. Nella fase di ingrossamento dei frutti è necessario irrigare spesso ma con limitate quantità d’acqua a mezzo di manichette preferibilmente. La semina viene normalmente effettuata in serra riscaldata da gennaio a marzo, con trapianto in pieno campo da fine aprile a fine maggio. Questo permette alla pianta di completare il proprio ciclo vegetativo e produttivo prima della successiva epoca delle gelate.
Non sopporta il gelo ma se adeguatamente “curata” può restare in vita per diversi anni
Nessuna delle varietà coltivate sopporta il gelo e può soccombere se non adeguatamente protetta. Chi desidera mantenere le piante per l’anno successivo, dovrebbe pertanto coltivarle in vaso e riporle al riparo dal gel, ma con un’adeguata fonte luminosa. Per quanto riguarda il terreno, il peperoncino predilige un terreno di medio impasto, ben strutturato e ben dotato di sostanza organica. La rotazione è importante per evitare i fenomeni di stanchezza del terreno e lo sviluppo di parassiti ed infestanti. La raccolta può avvenire da luglio a ottobre con i frutti che a piena maturazione saranno sempre rossi o al massimo sul giallino. Oggi nel mondo vengono coltivate numerose varietà di peperoncino, differenti per grandezza e forma del frutto , soprattutto per livello di piccantezza. Botanicamente appartiene alla famiglia delle Solanacee ( stessa famiglia di patate e pomodori) e il suo nome scientifico è capsicum. Le cinque specie coltivate sono il Capsicum annuum, il Capsicum baccatum, Capsicum fruttescens ( ne fa parte il tabasco), Capsicum chinense ( che include alcune delle varietà più piccanti, come l’Habanero e il Bhut Jolokia) e il Capsicum pubescens. Di queste specie principali esistono poi centinaia di varietà.
Può avere varie funzioni in cucina: da semplice aromatizzante a ingrediente principale per la “concia” di alcuni salumi meridionaliLa sua rusticità ne ha permesso una diffusione planetaria
Coltivare il peperoncino è infatti abbastanza semplice, questa è una delle ragioni che ne hanno permesso una diffusione planetaria. Ciò che conta principalmente è di poter usufruire di luce e calore per un arco di tempo sufficientemente ampio. Alcuni aspetti della coltivazione del peperoncino richiedono una certa attenzione: una concimazione non eccessiva, un’irrigazione molto attenta, un adeguato sostegno delle piante – aspetto colturale abbastanza trascurato nei piccoli orti – e una raccolta accurata data la delicatezza dei frutti. In compenso questo ortaggio è capace di dare il proprio prodotto per un lungo periodo e i peperoncini, conservati con differenti modalità, possono arricchire la mensa per quasi tutto l’anno. Nella fase di ingrossamento dei frutti è necessario irrigare spesso ma con limitate quantità d’acqua a mezzo di manichette preferibilmente. La semina viene normalmente effettuata in serra riscaldata da gennaio a marzo, con trapianto in pieno campo da fine aprile a fine maggio. Questo permette alla pianta di completare il proprio ciclo vegetativo e produttivo prima della successiva epoca delle gelate.
Non sopporta il gelo ma se adeguatamente “curata” può restare in vita per diversi anni
Nessuna delle varietà coltivate sopporta il gelo e può soccombere se non adeguatamente protetta. Chi desidera mantenere le piante per l’anno successivo, dovrebbe pertanto coltivarle in vaso e riporle al riparo dal gel, ma con un’adeguata fonte luminosa. Per quanto riguarda il terreno, il peperoncino predilige un terreno di medio impasto, ben strutturato e ben dotato di sostanza organica. La rotazione è importante per evitare i fenomeni di stanchezza del terreno e lo sviluppo di parassiti ed infestanti. La raccolta può avvenire da luglio a ottobre con i frutti che a piena maturazione saranno sempre rossi o al massimo sul giallino. Oggi nel mondo vengono coltivate numerose varietà di peperoncino, differenti per grandezza e forma del frutto , soprattutto per livello di piccantezza. Botanicamente appartiene alla famiglia delle Solanacee ( stessa famiglia di patate e pomodori) e il suo nome scientifico è capsicum. Le cinque specie coltivate sono il Capsicum annuum, il Capsicum baccatum, Capsicum fruttescens ( ne fa parte il tabasco), Capsicum chinense ( che include alcune delle varietà più piccanti, come l’Habanero e il Bhut Jolokia) e il Capsicum pubescens. Di queste specie principali esistono poi centinaia di varietà.
Una delle principali caratteristiche del peperoncino è la versatilità. In cucina può essere utilizzato sia fresco che essiccato o in polvere per insaporire salse, sughi, ma anche carni, pesci, formaggi e salumi. In taluni casi può costituire non solo un aromatizzante, ma un ingrediente vero e proprio. Nel corso dei secoli è diventato uno dei principali condimenti utilizzati nella cucina mediterranea, in particolare nelle regioni del sud Italia che ne hanno fatto la base per diversi prodotti tipici regionali. Spicca tra queste la Calabria, dove il peperoncino è un vero e proprio culto, che offre tra l’altro diversi insaccati, tra cui la ‘Nduja, a base di carne e grasso di maiale e molto peperoncino in polvere. Armonizza bene il grasso, degustando i prodotti della salumeria calabrese si avvertono infatti sapori caldi e pieni dove i sapori sono esaltati senza essere coperti. Pur avendo un sapore forte e robusto ben si presta a completare una preparazione delicata come i bianchetti ( la neonata) che è una preparazione ittica a base di novellame di pesce dove Trebisacce, un piccolo porto ittico dell’Alto Jonio cosentino, rientra tra le zone di produzione più rinomate. Inoltre è uno degli ingredienti del cocktail Bloody Mary.
Non sono i semi che rendono il frutto piccante bensì il tessuto placentare
La capsaicina ( l’alcaloide maggiormente presente nel frutto che determina la piccantezza) si concentra nella parte superiore della capsula, dove ci sono ghiandole che la producono, diffondendosi poi lungo la capsula. Al contrario di quanto si crede comunemente, non sono i semi, ma la membrana interna, la placenta, che contiene la maggior parte di capsaicina: quindi è quasi inutile togliere i semi per ridurre la piccantezza del frutto, mentre è consigliabile togliere la placenta.
La piccantezza e la “scala di Scoville” Le varietà di peperoncino sono molte ma tutti devono il loro sentore di piccante alla capsaicina. È contenuta nel peperoncino in diverse quantità e attiva le fibre nervose collegate ad un canale ionico. Il canale si apre lasciando passare ioni Na+ e Ca+ dove la depolarizzazione induce lo stimolo neurormonale al cervello. La biosintesi della capsaicina avviene nell’ovario del seme. Il tessuto placentare del frutto contiene la maggior quantità di capsaicina. La scala di Scoville misura l’intensità di piccante che, partendo dallo 0 per il peperone comune, arriva a 300.000 SHU per la varietà Habanero proveniente dal Messico , 577.000 SHU per l’Habanero Red Savina ed ora supera 1.000.000 SHU per la varietà Bhut Jolokia, Naga Moric e Dorset Naga. Da ustione! La scala di Scoville si basa proprio sulla quantità di capsaicina contenuta nel peperoncino e indica quante volte bisogna diluirlo in acqua zuccherina per avere un effetto nullo. |
All’estero il peperoncino è usato molto in Messico (nelle salse, nel chili con carne), in Nordafrica (dove è alla base della harissa) ed in India. Le cucine indiana, indonesiana, cinese sono associate all’uso del peperoncino, sebbene la pianta sia arrivata in Asia solo dopo l’arrivo degli europei. Una volta macinato il peperoncino modifica l’intensità del gusto: il grado di piccantezza però varia non solo in base alla varietà di peperoncino scelta, ma anche in base al grado di maturazione: infatti più è maturo e più è forte. Inoltre lo stress ambientale, tra cui la siccità e il freddo, accentua il sapore piccante.
Un portento di vitamine e una marcata attività afrodisiaca
Il peperoncino è anche il cibo più ricco di vitamina C: ne contiene ben 229 mg per 100 g di prodotto ( praticamente cinque volte più delle arance) ed è anche ricchissimo di vitamina A, bisogna però considerare che, date le piccole dosi che se ne usano, l’apporto di vitamine non è altissimo. Grazie alla produzione di endorfine, il peperoncino agisce come antidolorifico sulla mucosa dello stomaco.
Agisce a livello intestinale come potente disinfettante. Gli effetti antiossidanti hanno portato alcuni studiosi ad ipotizzare effetti anticancerogeni. La capsaicina inoltre aumenta la secrezione di succhi gastrici, favorendo così la digestione. In alcune regioni meridionali si conserva la tradizione di preparare un infuso digestivo fatto con camomilla calda, un cucchiaino di peperoncino in polvere e addolcito con miele. Infine, un cenno alla virtù più decantata: quella afrodisiaca. Sembra che esista un legame tra il piacere piccante del peperoncino e quello dell’arte di amare, il segreto secondo gli scienziati sarebbe nell’attività vasodilatatrice che richiamerebbe il sangue nelle zone erogene stimolandone la funzionalità.
molandone la funzionalità.
Spegnere il “fuoco” Per mitigare un eventuale eccesso di bruciore il metodo migliore è bere il latte, oppure yogurt o un qualsiasi formaggio a pasta morbida o latticino. La caseina infatti ha la capacità di rimuovere la capsaicina dai recettori nervosi. La capsaicina si scioglie molto bene anche nei grassi e nell’alcool, quindi anche prodotti grassi o bevande alcoliche aiutano a rimuovere la sensazione dolorosa. Per le alte concentrazioni, come nell’Habanero Red Savina o estratti vari, il modo più efficace è usare del ghiaccio come anestetico. |